Collegno, martedì 25 aprile 1989 ore 9,30. Vago per la mia stanza, tranquillo, programmando la mezz’ora successiva, quando, nonostante un po’ di pioggia, fuori sul balcone anteriore, studierò per il prossimo esame. Tutto normale.
Normale è pure la tensione tra i miei genitori, che, sul balcone posteriore, stando accovacciati, trascinano nervosamente dei pesanti vasi di piante d’appartamento.
Normale, per un lungo ponte festivo, è il traffico in Corso Francia: poche auto rispetto all’intensissimo traffico che abitualmente scorre vi scorre.
Normale, per un lungo ponte festivo, è la pensilina del pullman, ora non vi è nessuno ad attendere, diverso dalla calca di gente che si pigia quotidianamente per evitare la pioggia in attesa del bus.
Normale è il rientro a casa di quell’anziano signore, con un caratteristico neo sul viso, che spesso incrocio per strada, mentre accompagna a passeggio il suo cagnolino bianco. Ora con il suo fedele amico prende l’ascensore e sale verso il suo appartamento.
Normale è un’anziana disabile che, immobile, è in attesa sulla sedia a rotelle, tranquilla nel suo alloggio, al riparo dalla pioggia.
Chissà se un automobilista, dovendosi obbligatoriamente fermare al semaforo rosso, starà pensando: “Non c’è nessuno che mi controlli, tanto vale che attraverso l’incrocio con il rosso….. tanto che rischio?!”.
Ma nessuno mette in pratica tale azzardo. Il semaforo blocca il traffico e cento metri di strada sono vuoti.
Io vago nei miei pensieri, quando arrivava l’onda.
Arriva un vento senz’aria, da tutte le direzioni in contemporanea, le finestre si spalancano, gli infissi sono divelti dalle loro sedi.
Sono fermo, in mezzo alla stanza, stupito. Stupito anche da un improvviso silenzio, un istante di immobile silenzio.
Poi ronzio diffuso, antifurti che suonano, e rumori strani di macerie che scivolano, acqua che scorre…..
Vado al balcone posteriore, i genitori si guardano stupiti e non capiscono che sia successo, ma laddove avrebbero dovuto esserci le loro teste, se non fossero stati accovacciati a trascinare vasi, c’è una striscia sul muro, mentre per terra, accanto ai piedi, si è “materializzata” una grossa spranga di ferro.
Corro dall’altro lato e, attraverso le finestre sfondate, vedo:
Il condominio di fronte “non c’è più” o, piuttosto, c’è ancora, ma al suo centro vi è un immenso buco che lo attraversa da parte a parte. Posso vedere le case dietro perché tre piani del condominio sono ora un enorme orbita vuota.
Corso Francia, quel tratto sgombro da auto per la casualità di un semaforo rosso “rispettato”, è costellato di macerie, infissi, mobili, elettrodomestici. Il tetto della pensilina dell’autobus è frantumato, vi sono macerie sulle carrozzerie devastate delle auto in sosta, sulla vecchia edicola dei giornali, sulle piante dei giardini. Dal buco scendono scrosci d’acqua delle tubature strappate dai pavimenti in cui scorrevano incanalate fino a pochi minuti prima. Uno angolo del palazzo adiacente ha una crepa di alcuni metri, sembra doversi staccare come un dente che sia ormai fuori dal suo alveo.
Arredamenti, coperte, lenzuola pendono nel vuoto, inzuppati d’acqua e polvere. Lassù, davanti alla voragine, c’è la carrozzina dell’invalida, immobile, in attesa che qualcuno la arretri in salvo. In strada, in mezzo alle macerie, c’è il cagnolino bianco, il suo padrone invece è sepolto nell’ascensore.
Qualche giorno di gas accumulato in un alloggio, una improvvisa scintilla, chissà come accesasi, hanno provocato la deflagrazione. Il caso e il ponte festivo, il semaforo rosso, hanno sommato le casualità, hanno formato i destini.
Ripulisco il balcone dalle macerie, centinaia di schegge di cemento lo hanno mitragliato, il muro è zeppo di buchi. In sala, donato dal vento, vi è un pezzo di finestra della casa di fronte, il caso l’ha fatto rimbalzare sul tavolo non ancora apparecchiato. Questione di istanti, questione di centimetri.
Spazio e tempo decidono i destini e noi, ignoranti, vaghiamo nella nostra normalità.
Leave a Comment