Overeducation: 437.000 giovani italiani tra i 20 e i 34 anni si approcciano al lavoro con un titolo di studio che è superiore alla mansione per la quale l’azienda che li ha assunti li sta impiegando. Soprattutto per quello che riguarda materie umanistiche un laureato su tre non è al posto giusto.
Trascrizione stenografica dell’intervista fatta ad Alessandro Rosina, docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano, pubblicata da:
Rai 1 durante il programma 6 su radio1 del 11 settembre 2018 (dal minuto 26.00)
«Quello che si può fare è mettere il nostro paese in un solido sentiero di crescita, avendo ben chiaro dove vogliamo andare come paese, in coerenza con le grandi trasformazioni del mondo del lavoro in atto, e combinandole in maniera positiva con quello che noi possiamo fare in maniera specifica sul territorio italiano con le potenzialità che abbiamo, e rendendo il capitale umano delle nuove generazioni la leva per questo sviluppo. Ed è quello che non stiamo riuscendo a fare, cioè non utilizzare al meglio le nuove generazioni per raggiungere, appunto, per mettere in campo, questo percorso di crescita e miglioramento del paese. E quindi, non avendo ben chiaro dove vogliamo andare, come crescere, quali settori espandere, quindi mancando anche una politica coerente di sviluppo, di crescita, non sappiamo nemmeno bene di quali competenze dotare i giovani, per spendere al meglio poi nel mondo del lavoro, e quindi ci troviamo appunto con questo “miss match”, con questo scollamento. E i giovani che scelgono, ma, non avendo ben chiaro che cosa veramente serve, di quali competenze il mondo del lavoro ha bisogno. E un mondo del lavoro che non ha ben chiaro dove vuole andare e cosa chiedere ai giovani per poter essere ancora più competitivo, all’interno appunto di un mondo che è ben più complesso ed è in sempre più rapida trasformazione.
In Italia questo fenomeno è molto più accentuato che in altri paesi per delle fragilità che abbiamo su vari punti del percorso di transizione dei giovani dalla scuola al lavoro. C’è un problema di domanda, e quindi di espansione di quei settori più dinamici, più competitivi che, se non riusciamo ad espanderli, non riescono a trainare verso l’alto le competenze avanzate e quindi a sortire la qualità del capitale umano dei giovani e quindi giovani altamente qualificati. Quindi, se non espandiamo questi settori e questi settori vengono espansi in altri paesi, è chiaro che qui i giovani, quelli più formati, non troveranno poi più opportunità, e se vogliono trovare opportunità devono andare altrove. Quindi settori più strategici, quelli che creano maggior valore aggiunto nella possibilità di creare poi maggiore qualità, dobbiamo avere la capacità di potenziarli al meglio, e questo non lo stiamo facendo, siamo un paese che un po’ naviga a vista, piuttosto che aver pianificato un percorso chiaro su come mettere al meglio le potenzialità del paese nella possibilità di creare crescita e benessere. Però c’è poi anche un problema non solo continuando ad espandere nel modo giusto e valorizzando al meglio il capitale umano dei giovani ma anche di formare bene questo capitale umano, e quindi, oltre ai limiti della domanda, ci sono i limiti dell’offerta, e cioè di come formiamo i giovani, di come li aiutiamo ad orientare le proprie scelte, di come li aiutiamo a capire anche di come il mondo del lavoro sta cambiando, di quali competenze è bene che si dotino e poi loro facciano le proprie scelte. Quindi potranno scegliere poi anche una laurea umanistica ma devono sapere che questa laurea umanistica poi ha bisogno di essere completata anche con altre competenze, per poi farla diventare un valore aggiunto sul mercato. Oppure potranno invece fare scelte che già direttamente sono spendibili oggi nel mondo del lavoro, ma devono sapere che queste scelte oggi spendibili devono dotarsi anche di altre competenze, perché nel frattempo il mondo del lavoro cambia».
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