Ricostruzione della casa di Blocton (Alabama) in base alla memoria di Viarigi Carlo.
Ero bambino e quanto era bello per me immedesimarmi nei racconti di mio nonno che narrava la sua infanzia in Alabama.
Suo padre, Viarigi Luigi, nato a Piazzo (Lauriano) nel 1871, all’età di 17 anni emigrò negli Stati Uniti. Dopo una decina di anni di vita avventurosa, tornò in Italia, si sposò con Cha Maria (figlia dell’allora sindaco di Piazzo) e ripartì per gli Stati Uniti.
In Alabama, a Blocton, nei pressi di Birmingham, possedeva due case affiancate. Un’altra casa l’ebbe poi a Brehet, una cittadina vicina.
Erano le tipiche case dell’Alabama, costruite in legno, leggermente sollevate da terra, in modo che ci fosse un’intercapedine tra il suolo e il pavimento, quel rifugio basso e oscuro era la “sala giochi” in cui i bambini amavano nascondersi.
In metà casa visse con la sua famiglia, l’altra metà l’affittava ad altri italiani. Annesso alla casa vi era un piccolo negozio di oggetti da lavoro (chiodi, attrezzi ecc.) che era gestito dalla moglie Maria e in seguito dalla figlia Mary, anche se aveva solo 7 anni.
Mio nonno Charlie nacque nel 1903, fu il primo dei figli maschi, all’epoca aveva già due sorelle: Mary (1899) e Clementine (1901), in seguito, negli USA, nacquero Rosy e Tony, in Italia nacquero poi nell’ordine Guido, Lina, Felicita, Adriana, Maggiorino (1920).
Nelle case popolari dell’Alabama non vi erano grondaie, non nevicava mai, ma la pioggia era scrosciante e cadeva dai tetti portando con sé piccoli granelli di carbone. Le case erano di legno, il vento fortissimo e i fulmini potevano distruggerle con violenza.
I minatori partivano a cavallo, prima dell’alba, lavoravano duramente nelle miniere; poi rincasavano a sera, neri e stremati, andandosi a riposare sulle amache.
Vi era un senso di libertà che in Italia, paese d’origine di tante famiglie emigrate, non si poteva ancora assaporare; ma vi erano anche gravi conflitti di interesse e soprattutto razziali.
Pur lavorando insieme, stringendo amicizia, condividendo i rischi e la fatica, bianchi e neri non potevano frequentarsi in pubblico, dovevano trovarsi di nascosto, per giocare a carte, ai dadi, bere e discutere.
I bambini bianchi erano al di qua del torrente, quelli neri, al di là, si potevano incontrare di rado, magari mentre raccoglievano l’erba per gli animali sulla collina “Smith Hill”.
Per me era fantastico sapere che lui aveva visto un vero sceriffo arrivare al galoppo al centro del paese, far impennare il cavallo e sparare per aria con la pistola per richiamare l’attenzione della popolazione! Ma la legge era anche da “Far West” e così capitava che il misero ladro che era riuscito con l’inganno a derubare qualche soldo dello “store”, distraendo con astuzia Mary, era poi braccato e catturato dagli uomini del paese, pronti a difendersi da soli di fronte a qualunque emergenza.
Che pace nel sentire dalla voce del nonno il racconto del piacere dei momenti più sereni, come quando il padre si portò con sé il piccolo figlio per andare a raccogliere ciliegie in un bosco poco distante dal paese; oppure quando le sorelle maggiori portarono il fratellino a scuola per farlo “vedere” ai compagni di classe, mettendolo in piedi sul banco perché era ancora piccolo di statura.
L’orgoglio di essere il centro dell’attenzione, nel racconto, trasmigra dall’anziano nonno al bambino che rivive come sue queste vicende. L’imprinting di queste storie si fissa nella mia memoria infantile, trae nutrimento dal mio carattere e modella delle dinamiche di vita che mi accompagneranno poi nell’adolescenza e nell’età adulta.
Nel 1908 un violento incendio bruciò la casa di Blocton. A partire dalla cucina di un’ala della casa, in cui vi era l’alloggio dato in affitto, le fiamme si propagarono rapidamente a tutto lo stabile in legno. Ufficialmente una donna per incuria, aveva provocato involontariamente l’incendio mentre cucinava un pollo, ma non vi fu mai chiarezza sull’esatta causa dell’evento. Maria avrebbe voluto rimanere negli USA, spostandosi in California, ma Luigi non fu d’accordo, in lui vi era il desiderio di tornare in Italia, dopo tanti anni passati nelle miniere dell’Alabama.
Dopo un breve periodo di permanenza a Brehet, la famiglia Viarigi (allora composta da padre, madre e cinque figli, di cui uno neonato), partì in piroscafo da New Orleans per tornare in Italia. Il neonato era Tony, nato nel 1908 che, sessant’anni dopo, nel 1968, fu l’unico della famiglia originaria a tornare negli Stati Uniti e a trovare i resti della casa bruciata.
In autunno dimorarono per qualche tempo nella casa dei nonni (nella frazione di Piazzo ‘n Pagnà), dopo di che si trasferì definitivamente a Lauriano.
Luigi come attività, oltre a quella agricola, fece il trasportatore di legna (con carro trainato da cavallo) tra Lauriano e Torino; la sua vita avventurosa proseguì con vari incidenti (sopravvivendo anche allo schiacciamento della cassa toracica quando fu travolto da un carro), morì nel 1939.
Sua moglie Cha Maria in quegli anni ebbe un piccolo negozio di alimentari annesso alla nuova casa (il magrissimo Charlie era abile ad entrare senza far suonare il campanello per… appropriarsi furtivamente di un pezzo di cioccolata). Morì nel 1970 a novant’anni d’età. Con mente lucida, in quell’epoca, ancora mi narrava di quando, bambina di due anni, fu portata al circo dove il domatore di un leone, dopo due tentativi riusciti, alla terza volta che infilò la testa nella bocca di un lenone, fu decapitato.
Luigi e Maria in totale ebbero 10 figli, 5 maschi e 5 femmine. Due figlie (Mary e Adriana) hanno superato i cento anni di età, Mary nacque a Blocton nel 1899 e morì a Lauriano nel 2000, attraverso tre secoli (XIX, XX, XXI) e due millenni.
Charlie studiò a Lauriano fino alla terza elementare, poi, tutti i giorni, con due compagni di classe, dovette andare a piedi a Piazzo, che all’epoca era più popoloso, per fare la quarta; suo nonno materno fu l’ultimo sindaco di Piazzo, prima che il comune fosse accorpato a Lauriano. Diplomatosi alle scuole serali, nonostante fosse rimasto invalido da un occhio in un incidente, fu tracciatore meccanico di precisione e lavorò quarant’anni per la Fiat. Morì nel 1979.
Quel mondo rurale, antico e selvaggio non esiste più. I corpi indossati da chi visse quelle vicende sono stati dismessi per sempre.
Anche se vi è un velo di malinconia e di tristezza, occorre vivere la realtà odierna, il modo di comportarsi che era adatto un tempo, ora è obsoleto.
Non si tratta di dimenticare il passato, bensì di rendersi conto che, riportando le parole del Dalai Lama: “Ci sono due giorni nell’anno in cui non puoi cambiare la tua vita, essi sono ieri e domani”. Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza passata, ma è l’oggi che ci consente di vivere contestualmente alla realtà presente.
Le dinamiche comportamentali e il carattere delle persone sono immutati, ma la contestualizzazione si aggiorna di continuo: se quelle vicende hanno ispirato serenità e pace, l’obiettivo è di ricreare oggi, in questo ambiente, l’armonia, l’ottimismo e la speranza nella vita che chi visse allora riuscì a trasmettere alle generazioni future.
Le macerie del passato siano cancellate e buttate nel cestino; i ricordi restino nei cassetti della memoria, archiviati come episodi antichi, non come realtà odierne; da loro traspaia l’emozione con cui sono stati vissuti, in modo che sia fertile nutrimento per le vicende attuali.
Nel mondo c’è sempre un punto in cui è l’alba; nel presente si agisca con consapevole concretezza, in modo da essere degni ospiti del proprio tempo di vita.
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