Vi sono degli eventi che abitano in un particolare contesto, poi quel mondo cambia e le nuove generazioni non sanno quello che vissero le precedenti. Questo è ad esempio il caso del “muro del suono”. Alla fine degli anni ’60 e inizio degli anni ’70 del novecento, quotidianamente sulle nostre case laurianesi passavano degli aerei a reazione che in prossimità della nostra zona superavano la velocità del suono. L’onda d’urto dell’aria spostata dagli aerei piombava a terra, vi era un boato improvviso che faceva tremare muri e i vetri, a volte apriva le finestre e le porte accostate. Puntualmente mio nonno imprecava, agitando un pugno verso le nuvole, solcate dal velivolo. Probabilmente in seguito alle proteste (e ai danni causati alla popolazione) tale fenomeno non avvenne più ed ora solo chi visse quell’epoca può ricordarlo. Spenta la nostra memoria, anche se si sa che un aeroplano provoca tale “botto” quando passa alla velocità del suono, non ci si rende conto di quanto sia stato “normale” per noi viverlo in prima persona tutti i giorni. Così, dopo anni e decenni, se non lo si è scritto, un frammento di vita va per sempre perduto.
La clessidra
statua di sabbia
protende secche e stanche membra
ricoperte dall’impalpabile scorrere del passato
volgendo verso l’alto, grigie, angosciate, tremanti mani;
le dita, impotenti, non chiudono l’inesorabile varco del tempo che passa
come un tombale macigno, l’ultimo granello precipita dalla boccia del futuro
accarezza il viso e spegne per sempre, d’un soffio, il silenzioso sguardo dei ricordi
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