In un recente articolo si è parlato dei concetti del filosofo Hegel (vedi “I concetti di Hegel applicati alla grafologia“). Hegel spiega come la maturazione di se stessi avviene tramite il “ritorno” di immagine fornitoci dall’ambiente e attribuisce una connotazione “spirituale” alla consapevolezza che ne deriva.
L’offerta di cibo che nell’antichità si offriva alle divinità, era in sintonia con questo concetto: io offro il cibo a quell’aspetto divino che è in me ma che io non conosco perché sono “terreno” e quindi limitato dalle sensazioni e dalle caratteristiche corporee. Il “divino” che è in me, sarà però stimolato dalla mia “fede” in un altro universo, un universo che mi ha generato e da cui provengo (perché io sono in grado di comprendere l’esistenza di concetti assoluti, come ad esempio lo zero, il pi greco o l’infinito, che la mia limitatezza terrena mi impedirebbe di concepire se non fosse che io, come pura coscienza traggo origine da un altro mondo).
Per stimolare questo lato divino e quindi maturare in sintonia con la sua purezza, offro del cibo, sapendo che l’aspetto terreno (nutritivo) darà energia al mio corpo fisico, ma l’aspetto sottile (offerta del simbolo) nutrirà la crescita spirituale.
Meditiamo su questo processo, osservandone i passaggi a partire dal catabolismo.
Ogni giorno espelliamo alcuni chilogrammi di sostanze che abbiamo utilizzato: nella fognatura, nella polvere sul pavimento, nel calore che produciamo, nel sudore che impregna gli abiti, smaltiamo le scorie del nostro metabolismo. Queste scorie tornano nel mondo e sono riciclate, ad esempio possiamo osservare come i capelli e le unghie che ci siamo tagliati, gettati nel compostatore, nel giro di qualche mese siano trasformati in humus e poi in terra. Quella terra nutrirà gli ortaggi con cui banchetteremo, arricchendoci di nuova energia. Nei pomodori e nell’insalata del nostro orto ci sono i nostri vecchi involucri (o parti di essi). Dopo alcuni anni ogni cellula del nostro corpo è stata rinnovata, per sostituzione con una cellula nuova, o per modifica delle sue molecole. Nel corso di una vita si indossano innumerevoli corpi, i vecchi sono assorbiti dalla terra e nutrono la natura, i nuovi li indossiamo, identificandoci sempre in essi, come se fossero uno solo, ma la loro essenza deriva dai cibi che traiamo dalla natura, nutrita delle nostre scorie.
L’unico filo conduttore sempre presente è l’Io.
Un io che matura nel corpo, apparentemente solido, ma in realtà fluido, in continuo mutamento e ricco di vuoti.
Nel vuoto, nello spazio immateriale “tra le parole della scrittura del libro animato che ha per copertina il volto”, ci sta l’elemento divino, impercettibile e impalpabile, ma illuminato da una silenziosa oscurità.
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