Il Jiu-jitsu è un’arte marziale giapponese di origini molto antiche.
Lo scopo del Jiu-jitsu è quello di “cedere” all’assalto violento dell’avversario, costringendolo a “cadere vittima” del suo stesso impeto.
La leggenda narra che il medico giapponese Shirobei Akiyama, esperto di combattimento, al termine di un lungo soggiorno in Cina, dopo una lunga meditazione in completa solitudine, osservò il paesaggio circostante, coperto da un’eccezionale nevicata.
Akiyama si accorse che le piante grandi e vigorose avevano i rami spezzati dal peso della neve, mentre invece un salice, flettendosi, era rimasto illeso.
Ideò quindi il 柔術jiu-jitsu cioè JIU = cedevole e JITSU = arte, ARTE DELLA CEDEVOLEZZA.
Applicando delle leve sulle articolazioni, togliendosi dalla traiettoria dei colpi, bloccando le vie respiratorie con degli strangolamenti, il jiu-jitsu permise a persone comuni di potersi difendere da attacchi di aggressori più vigorosi o armati.
Il concetto fondamentale è “per quanto tu sia forte, prima o poi incontrerai sulla tua strada qualcuno più forte, perciò impara a non sopraffare gli altri con rigidità, bensì cedi alla loro aggressione, adattati alle situazioni, così come fanno le fronde del salice pressate dalla neve”.
Il Maestro Gino Bianchi fu un marinaio italiano, campione di Savate, che durane il secondo periodo bellico fu inviato nel Mare della Cina con le truppe italiane in appoggio a quelle della marina Giapponese.
Durante la permanenza in Estremo Oriente, Gino Bianchi constatò l’eccezionale efficacia del Jiu-jitsu, imparandone le tecniche ed ottenendo il prestigioso grado di cintura nera.
Tornato a Genova, nel dopoguerra fondò i primi corsi di Jiu-jistu, ideando un metodo che ancor oggi porta il suo nome.
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