Scrissi questo racconto un anno dopo la vittoria ai Campionati Mondiali di Stenografia di Istanbul, nel 1993; lo pubblicò “la Rivista degli stenografi” (glorioso periodico degli anni d’oro della stenografia italiana).
Un congresso Intersteno è un convegno internazionale che riunisce le persone e le ditte relative alla resocontazione e all’informazione.
Per quanto riguarda l’aspetto agonistico, vi partecipano concorrenti che giungono da ogni angolo del mondo. Dalla verbalizzazione parlamentare alla trascrizione delle sedute d’assemblea, dai lavori di segreteria a quelli di giornalismo, tutto lo scibile della trasformazione dal linguaggio parlato a quello scritto è studiato, approfondito, proposto e valutato a livello di questi periodici meeting.
Oggi si è soprattutto orientati alle gare computerizzate, mentre, vent’anni fa, la stenografia manuale, la stenotipia e la dattilografia erano le discipline regine del convegno. Fu un’epoca di transizione, nella quale una campionessa tedesca di dattilografia, con la macchina elettronica riuscì a superare le 770 battute al minuto, ma, finita la gara, dovette aspettare quasi venti minuti perché la stampante ad aghi finisse di riprodurre tutto quello che lei aveva scritto.
Anche noi tre “torinesi” non fummo da meno; alla sera prima della nostra gara, salutate con un finto sbadiglio le atlete italiane provenienti da altre scuole, anziché andare a dormire, ci chiudemmo nella stanzetta del nostro “Buyuk Hotel” (che di Grande, aveva solo il nome, in quanto era in realtà una dignitosa vetusta locanda situata nel quartiere Beşiktaş) e svolgemmo l’ultimo allenamento. Io giorno dopo avrei gareggiato anch’io come stenografo pratico, quindi affidai il compito del dettato a Tiziana Trevisan, non avendo oltretutto portato con noi né registratori, né audiocassette.
Io, Riccardo Bruni e Michele Ceruzzi, stenografammo ammucchiati in tre su un tavolino microscopico, quasi con le gambe incrociate l’uno nell’altro per l’esiguità dello spazio, il nervosismo era abbastanza accentuato e dopo un solo brano decidemmo di comune accordo che ormai quel che era fatto era fatto.
Prima di chiudere però provammo tutte le biro: Bic e Pilot (ovviamente blu, per ragione di fluidità dell’inchiostro), tutte usate già più volte, furono accuratamente approntate una vicina all’altra, in modo che, se una avesse smesso di funzionare, l’avremmo sostituita con velocità fulminea con un’altra (il cui inchiostro sarebbe stato preriscaldato prima della gara). Girammo e rigirammo le pagine dei notes, per allentare la tensione degli anelli nel voltapagina e per accertarci che non ci fossero fogli attaccati l’un l’altro.
L’ansia da prestazione che ci portò a controllare ogni piccolo particolare e ogni sfumatura era senz’altro tangibile!
Ma l’esperienza di tante altre competizioni e lavori, premiò la nostra perseveranza: la gara di stenografia pratica (cioè degli stenografi manuali a velocità oratoria) fu vinta proprio da Riccardo Bruni; l’ultima vittoria italiana nella stessa competizione risaliva a quasi quarant’anni prima.
Michele Ceruzzi si posizionò all’ottavo posto e io, che fui anche il loro allenatore, ottenni il diciannovesimo posto; i qualificati finali furono circa trecento, ma alcune nazionali (come ad esempio quella cinese, che all’epoca dovette purtroppo ancora gareggiare in lingua inglese) non riuscirono a posizionare nessun agonista nella classifica finale.
Ed ecco finalmente la “grande emozione della prima volta”:
La città è ai nostri piedi, il blu del mare compare alla nostra sinistra mentre l’aereo, virando, si avvicina alla pista.
Un po’ spaesati, fra qualche milione di persone, siamo prelevati da un turco “bellissimo” (non era il “mio tipo” ma comprendevo che le donne al seguito avevano ragione): alto, bruno, occhi celesti e penetranti, modi gentili ma risoluti, un’aria giovanile, mitigata dalla brizzolatura dei capelli.
Reclutato un taxi, il primo di una serie infinita, eccoci in slalom per le vie di una metropoli esotica – chi dice dieci, chi venti, milioni di abitanti, non li ho contati bene ma c’erano tutti – con un aspetto anni cinquanta-sessanta sia nei vestiti che nelle espressioni dei volti, segnati dalla fatica del lavoro ma serenei e cordiali con chiunque.
E poi le nuove strutture: i parchi, i campi giochi per i bambini, le scuole, perché le nuove generazioni non soffrano più come i loro genitori.
In mezzo al caos ecco comparire Bisanzio, Nuova Roma, Costantinopoli, migliaia di anni di storia scolpita nelle pietre; centinaia di anni d’arte, espressa nelle moschee immense, alte più di sessanta metri (… all’interno!), abbellite da fregi d’ogni colore e risplendenti d’oro.
Se poi la “camii” (moschea) non è prpprio “buyuk” (grande), è comunque ricca degli stessi contenuti delle più maestose, miniaturizzati in una piccola superficie, impressi nei visi sereni e imperturbabili dei fedeli o spiegati agli sporvveduti come noi, con gentilezza, dagli “immam” (i religiosi che si possono paragonare ai preti per il cristianesimo) e cantati all’alba e al tramonto dai “muezzin”.
Viva la stenografia: arte scienza e magia della comunicazione… e del turismo.
Quante facce nuove! Sei convinto di autoconsiderarti ultimo fra i concorrenti italiani e poi scopri che anche molti altri la pensano allo stesso modo.
Ci si saluta con molta cordialità, tentando però di intuire con che “razza di bestia” hai a che fare: “sarà uno di quei mostri da duecento parole al minuto o è un poveraccio spaesato come me?”.
Poi, sapendo che gareggia in dattilografia, “peccato, magari non era poi così forte e proprio ultimo potevo non arrivare”.
E questo è niente, perché con gli italiani si a subito conoscenza, si parla con tranquillità e si esce insieme senza problemi; ma quando si incontrano gli stranieri? Allora si rinvangano le reminiscenze scolastiche di inglese, rimpiangendo il corso su dischi mai utilizzato e riposto in solaio, si prova a parlare in francese, ma l’interlocutore ti guarda come se fossi un marziano.
Poi, con fare desolato e irato al contempo, inizi ad esprimerti con qualche parola in italo-piemontese: “Boja fauss, ma come glielo spiego?!”; e l’altro risponde con un sorrisone: “Italiano?!”, per fortuna non prosegue con la famose frase pubblicitaria bensì con quelle parole che ha imparato chissà dove, permettendo l’instaurarsi del tanto sospirato dialogo.
È eccezionale scoprire quanta intelligenza e cultura esistano sparse per il mondo. Tu fino a ieri pensavi che solo certi luminari dell’insegnamento universitario potessero essere delle menti eccelse, invece ti ritrovi a parlare con le persone più modeste ed insignificanti a vedersi, d’ogni razza e colore, scoprendo delle abilità, nascoste perché ritenute normali, mentre spesso, da noi, si è abituati a stimare come il più saggio e forbito esemplare del genere umano chi mette in mostra due “cose” in più degli altri.
Così, con i cinesi che super-ridono al piano di sopra e i tedeschi, sempre inuadrati in gruppo, a quello di sotto, arriva il giorno della verità.
Sembra una mattina come un’altra, però sveglia e colazione sono vissute con una certa ansia interna, mentre la parte cosciente del cervello suggerisce: “stai calmo”. Si ride e si scherza come in qualsiasi altro giorno, ma le dita si muovono con nervosismo.
La sala del dettato è come l’abbiamo lasciata ieri, nelle prove; sui banche, vuoti per l’estate vacanziera, esattamente come da noi, si notano i “graffiti” sudati dei legittimi alunni. “Chi l’avrebbe detto, quando avevo la loro età e stavo per essere rimandato in stenografia, che oggi sari finito qui a disputare un mondiale?”. Il cervello continua a ripetere: “calma, calma!” e, all’improvviso, il dettato inizia.
Mi trovo intorpidito dall calma, mentre il cervello urla. “Sveglia! Ti muovi?!”.
Finalmente uno scossone nella velocità mi ridesta e non perdo più tempo a ritoccare i particolari inutili; finché posso scrivo con fluidità, poi reggo ancora una accelerazione, affidandomi sempre più alla memoria, infine cedo.
Il mio mondiale è finito, mi sforzo di resistere alle velocità più alte per essere comunque un punto di riferimento per chi punta al titolo assoluto (anche Maradona ha vinto un mondiale con.. un colpo di mano), ma questa volta non ce ne sarà bisogno.
Termina il dettato, ci guardiamo per un attimo con soddisfazione, ognuno ha ottenuto ciò ce desiderava e ora siamo più rilassati.
Il controllo è ferreo ma i commissari ci offrono pure le ciliegie per addolcirci la tensione. Trascrivo con calma, non ho grandi pretese per me stesso, piuttosto sono curioso di scoprire come si comportano i più esperti. C’è chi trascrive con scioltezza, chi in fretta e furia, chi allunga gli occhi verso il vicino (che è sempre troppo lontano).
Finiti gli stenogrammi e iniziati gli “scarabocchi”, consegno i miei fogli e raggiungo all’esterno il resto della famiglia.
Sono perplesso, penso di classificarmi al quinto minuto con una miriade di errori e invece, con gioia, il mio elaborato sarà classificato al quarto minuto con il numero di penalità più basso di tutti gli stenografi; lo saprò soltanto il giorno della premiazione… ma questa è un’altra storia.
(pubblicato nel 1994 da Sergio Sapetti su “La Rivista degli Stenografi” luglio-dicembre 1994)
Homo lux: studio e ricerca aldilà dei margini – prof. Sergio Sapetti
Leave a Comment