Rispondo alla domanda fattami stamattina: Se fossi tu ministro della Pubblica Istruzione, come imposteresti una riforma moderna e adeguata?
Partirei dalla formazione e rinnovo degli insegnanti. Ho avuto la fortuna di fare il percorso di laurea per il sostegno a cinquant’anni, con trenta di esperienza di insegnamento, una solida preparazione psicologica, un buon riscontro da parte degli alunni, eppure, studiando le nuove metodologie, ho scoperto quanto ero inadeguato ai tempi.
Purtroppo però ciò che si impara a lezione di aggiornamento è di difficile attuazione per mancanza di adattabilità nelle scuole, essendoci troppi divieti, limitazioni e vincoli di responsabilità che, nel dubbio di sbagliare e pagare di tasca propria, tarpano le iniziative individuali sperimentali.
L’idea è di rendere la scuola più vicina al sistema universitario: non più classi ma corsi. Esempio: “Corso di chimica del primo anno” dalle 9.00 alle 11.00 in aula 4 (capienza per emergenza 15 alunni). In contemporanea corso di “Matematica del primo anno” in aula 6 (capienza 10 alunni). In contemporanea corso di “Italiano terzo anno” in aula 9 (capienza 12 alunni) ecc. distribuendo sì le lezioni tra mattino e pomeriggio, ma non con obbligo di essere presenti a scuola tutti i giorni da mattino a sera in contemporanea per tutti.
Altro ottimo strumento è “la classe capovolta”: il docente fornisce la traccia, gli alunni studiano in smart working (a casa, a scuola, nelle biblioteche ecc. da soli o in gruppo, negli orari e con la modalità che preferiscono) poi a lezione il docente ne verifica il grado di apprendimento e lo integra, corregge, valuta. Meno ore a scuola, con classi di pochi alunni, aumentando la qualità e l’efficacia didattica, riducendo noia e stress per lezioni lunghe, tediose, inadeguate a chi è abituato (nella vita privata, in palestra, nei rapporti sociali) ad interagire negli orari e nelle modalità a lui più consone e non con una standardizzazione obsoleta.
La valutazione deve essere personalizzata: voti chiari (da 1 a 10 come è più semplice da capire e senza mezzi voti, quarti di voto, + + – – ecc.) ma i voti non devono indicare un merito o una incapacità, bensì un livello di competenza per un concetto, perciò meglio 12 voti su 12 argomenti che non 1 voto su 4 argomenti.
Per alcuni insegnanti questo grande numero di verifiche, unite alle troppe incombenze burocratiche spiazza i docenti meno propensi a rinnovarsi da una routine.
Coloro però che sono già edotti e abituati, applicano questo metodo già ora, senza particolari affanni.
Noto spesso nei docenti l’ansia del rispetto dei tempi, rispetto del programma, rispetto del registro che a volte va compilato soprattutto per tutelare in caso di ricorso. Il comportamento eccessivamente protettivo da parte delle famiglie e il distacco tra le famiglie e la scuola porta ad un clima di sospetto e di ignoranza operativa, inducendo a rivalersi sull’insegnante (o sulla dirigenza) per qualunque problema sorto dal comportamento del discente. Viceversa, famiglia, scuola e, prima di tutti, discente stesso, dovrebbero operare per il vero scopo dell’istruzione: preparare singolarmente ogni alunno per il suo percorso di vita in base alle sue peculiarità.
Perciò occorre utilizzare meglio i concetti di “imparare ad imparare” e “puerocentrismo”, partendo dalle scuole elementari ma da applicarsi sempre, per ogni ordine e grado di istruzione.
Il successo sovietico derivante dal lancio del primo satellite spaziale Sputnik nel 1957 impose agli USA di accelerare il processo tecnologico mediante una adeguata riforma del sistema dell’istruzione, al fine di preparare nuove eccellenze. Nel 1959 a Woods Hole venne organizzata una importante conferenza riguardante i programmi scolastici e i metodi di insegnamento, a cui partecipano i più noti psicologi e pedagogisti USA del tempo. La scuola non dovrà più cercare di preservare la cultura in cui nasce, ma dovrà aprirsi al nuovo, formando menti eccellenti e divergenti che assicurano il successo e il cambiamento. Dieci anni dopo questa riforma, gli USA portarono il “primo uomo sulla Luna”, vincendo la corsa alla conquista dello spazio, ma soprattutto iniziarono l’era della tecnologia.
Dagli anni ’70 il mondo cambiò per sempre, le comunicazioni e le informazioni furono informatizzate e man mano che gli adolescenti crescevano, si manifestarono menti eccellenti che idearono e realizzarono strumenti, progetti, piattaforme che rivoluzionarono lo stile di vita non solo delle nuove generazioni, ma anche di quelle precedenti.
Chi nacque ottant’anni fa, senza computer, con poche automobili, con dei telefoni a filo e dei telegrafi senza fili per comunicare, oggi è “costretto” a vivere in un mondo informatizzato: deve utilizzare lo smartphone o almeno il computer per qualunque attività dall’home banking alle prenotazioni asl via web, dalla dichiarazione dei redditi alla video-conferenza con i nipoti bloccati a casa dalla quarantena. Chi nasce oggi, nasce in questo contesto, ma chi nacque 80, 60, 40 anni fa è obbligato ad aggiornarsi e a dotarsi di adeguati strumenti operativi.
Questo è frutto di “imparare ad imparare” cioè trovare soluzioni nuove, originali, modalità di vita e di azione mai pensate e realizzate prima.
Ma anche “puerocentrismo”, cioè basare l’attività formativa sulle peculiarità del singolo individuo, tenuto conto del contesto socio-culturale e famigliare in cui vive. Siamo tutti “diversi”, tutti “diversamente abili”, tutti “pezzi unici”. Una palestra moderna segue il corsista come individuo, crea delle schede di programmazione adatte alle sue caratteristiche e ambizioni, gli dà un supporto psicologico, lo forma interiormente prima che esteriormente, gli offre servizi in orari e giorni a lui favorevoli.
Un corso di formazione moderno ha le stesse caratteristiche, personalizza l’intervento in base alle richieste, agli obiettivi, alle qualità intrinseche dell’individuo. Invece sia la scuola sia la maggior parte degli ambienti di lavoro oggi si basano ancora su lezioni e impegni standartizzati: tutti entrano a quell’ora (o al limite fanno dei turni perché non c’è posto per tutti al mattino o per non fermare il ciclo produttivo), tutti seguono la stessa lezione, svolta uguale per tutti.
Esistono centinaia di canali televisivi on line, milioni di siti web, ma si pretende che gli alunni stiano a seguire tutti insieme, seduti, zitti e motivati, una lezione di due ore su argomenti che a loro non interessano, non perché tali argomenti non sono di per sé utili o interessanti, non per incapacità del docente che, con passione, fa di tutto per farglieli “piacere”, non perché siano svogliati e ignoranti di natura, ma perché la società stessa è la prima causa di distrazione, fornendo loro un “mondo dei balocchi” virtuale e irreale, che li “stupisce”, allontanandoli dalla realtà. La scuola utilizzi gli strumenti moderni, accetti che le attuali dinamiche operative sono irreversibili e reali, si adegui, ma poi le utilizzi per formare gli alunni. Non è vietando l’uso del cellulare a scuola che si aumenta l’attenzione degli alunni, invece è insegnando loro l’utilizzo corretto del cellulare, ma, in contemporanea, anche insegnando loro a “coltivare la terra con la zappa” (come si diceva un tempo), cioè facendo loro fare anche esperienze concrete e non solo virtuali, ma unendo insieme i due campi.
L’esempio più eclatante arriva dalle tribù selvagge dell’Amazzonia o dell’Africa, dove i giovani continuano a vivere secondo le tradizioni e la cultura millenaria dei loro antenati, ma hanno anche moderni smartphone sempre connessi per poter avvisare in tempo reale le autorità se vi sono dei malviventi pagati dalle multinazionali dell’agricoltura che insidiano le loro foreste, le loro terre incontaminate, per incendiarle, devastarle (in modo poi da inserire delle colture intensive che bruciano le risorse del pianeta) o per fare bracconaggio di specie in via di estinzione.
Concretezza è stare nel qui e ora, con gli strumenti attuali, con le dinamiche attuali, ma con i piedi radicati nelle tradizioni della nostra natura.
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