Extrema ratio

La preparazione ad un combattimento reale esula dal training sportivo marziale. Lo sport di combattimento permette di sviluppare alcune importanti proprietà dell’individuo, è un’ottimo strumento di cultura fisica, fornisce una preparazione atletica eccellente, garantisce un discreto miglioramento nell’autostima, ma non è idoneo per fornire quegli atteggiamenti che sono indispensabili in un conflitto senza regole e in un contesto completamente differente da un tatami o da un ring. Non solo, per contro, una intensa preparazione sportiva, potrebbe essere controproducente in un combattimento “da strada”, in quanto l’agonista si è abituato a muoversi e ad agire in un contesto di sicurezza e non è abituato a proteggere o ad agire secondo altre modalità operative.

L’addestramento marziale antico era volto alla guerra, l’obiettivo era quello di combattere per uccidere o comunque sottomettere l’avversario, era destinato ai guerrieri (giovani e forti) ed era insegnato nella segretezza. Oggi le arti marziali sono prevalentemente insegnate nelle palestre delle associazioni sportive, pur correndo il rischio di farsi male (rottura di ossa, strappi muscolari, ematomi ecc.) anche nei combattimenti più cruenti, come ad esempio nelle “gabbie” dell’MMA, i contendenti si rispettano e non possono colpirsi in modo eccessivamente lesivo, in caso contrario il match è sospeso e vi è la squalifica dell’atleta scorretto.

Diverso è il caso in cui uno o più individui violenti, spesso agendo sotto l’effetto di stupefacenti, avendo a disposizioni armi convenzionali o trovate al momento (cocci di bottiglia, pietre, bastoni, cacciaviti ecc.) hanno l’intenzione di far veramente male o di uccidere qualcun altro. Inoltre, negli ultimi anni sono aumentati i casi in cui ad agire siano terroristi fanatici, incuranti delle proprie eventuali conseguenze fisiche, anzi, orgogliosamente contenti di “immolarsi” facendo strage di persone ignare di cosa sta accadendo.

L’arte marziale moderna deve perciò mediare tra la tradizione antica, a volte radicata in movenze e tecniche arcaiche, originatesi in contesti culturali distanti dal nostro, e lo sport, che ne ha snaturato l’essenza, portando all’eccesso delle tecniche eccezionali dal punto di vista del gesto atletico, ma improponibili e pericolose se fossero utilizzate per strada.

Già Imre Emerich Lichtenfeld, eccellente lottatore e agonista marziale, dovette rapidamente adeguare il suo stile di combattimento sportivo alla realtà della strada quando partecipò alle rivolte di Bratislava, dimostrando che chi, come lui, ha una eccellente preparazione nelle arti marziali, se sa adattarsi, ha poi la possibilità di essere superiore anche in scontri reali.

Quanto un’arte marziale può garantirci di uscire vivi e incolumi da un combattimento da strada contro uno o più avversari, magari armati? Praticamente zero. Proprio lo sport ci dimostra come atleti di età e peso simili, quando combattono uno contro uno hanno estrema difficoltà a “sottomettersi”, figuriamoci se gli avversari sono più di uno, se il loro peso e la loro prestanza fisica è superiore alla nostra, se la soglia della percezione e sopportazione del loro dolore è alterata da droghe e infine se sono pure armati! Le possibilità di uscire incolumi sono sempre “nulle” (anche il migliore dei pugili, scende dal ring avendo preso qualche colpo), le possibilità di uscirne vivi o senza danni permanenti dipende da fattori a volte casuali (fortuna), la possibilità di fuggire potrebbe essere inapplicabile in certi contesti (esempio su un pullman, su un aereo o in un luogo chiuso).

Detto questo forse sarebbe meglio dedicarsi ad un percorso spirituale piuttosto che ad un’arte marziale (al di là della battuta, le vere arti marziali sono sempre legate a percorsi spirituali), ma è prima necessario capire cosa non ci dà e cosa ci dà veramente l’arte marziale in questo campo.

Cosa non dà? La tecnica perfetta con la quale si sconfigge ogni avversario, ciò non esiste.

Cosa dà? Aumenta a dismisura il livello di sicurezza, non tanto perché ci aiuta a vincere il combattimento, ma perché ci predispone ad evitarlo.

Si dice che l’ottimo Guerriero vince tutte le battaglie che combatte, ma l’ottimo Maestro vince le battaglie senza combatterle e lo scopo dell’arte marziale è proprio questo: evitare il combattimento, lasciandolo per ultimo, come extrema ratio.

Lo scopo dell’arte marziale in tal caso è da paragonarsi a quello di un sistema di sicurezza per una casa o un autoveicolo: rilevatore perimetrale, rilevatore volumetrico, telecamere di sorveglianza, cancelli, porte e finestre blindate ecc. non impediscono ai ladri di entrare, bensì prevengono un enorme numero di tentativi di furto, semplicemente scoraggiandoli a priori o allarmando gli utenti prima che si entri in contatto con i malviventi. Così l’arte marziale per prima cosa sviluppa un atteggiamento operativo costante che screma il maggior numero di casi in cui vi sia un rischio reale.

Ed ecco che iniziamo a comprendere come l’arte marziale per prima cosa si basi sulla psicologia. Conoscere se stessi, conoscere gli altri, osservare l’ambiente, valutare i rischi, comportarsi in modo adeguato alle situazioni, prima che sia troppo tardi, sono le prerogative che fanno sì di spostarsi da un atteggiamento di “Guerriero” ad uno di “Maestro”.

In seconda battuta occorre scindere la preparazione atletica perfetta di chi gareggia sul tatami o sul ring rispetto alla “normalità” di chi invece deve affrontare eccezionalmente una situazione imprevista: lo stress che deve gestire un’aggressione è eccezionale, ma la durata del conflitto spesso è di pochi secondi o al massimo di qualche minuto. Nel momento in cui accade la vicenda questi istanti paiono eterni, come se il tempo si fermasse, ma non ci si sta preparando per una gara di alcuni round, non serve perciò un fiato leonino come se fossimo dei maratoneti, viceversa è più importante saper gestire le risorse che si bruciano in pochi attimi a causa del terrore.

“Se uno ti dà un pugno così tu che fai?”….. “Perché mi deve dare un pugno? Abbiamo litigato? Perché gli ho permesso di litigare? Se uno non vuole due non litigano, dice il proverbio. Avessimo anche litigato, perché ho permesso a quest’altra persona di adirarsi così tanto da essere stimolato a colpirmi? Devo imparare a conoscere gli altri, a stemperare gli animi, ad evitare di inserirmi in situazioni irrecuperabili. Perciò non esiste che se uno mi dà un pugno così io che faccio, io, non sono lì in quel contesto”. Ecco cos’è l’arte marziale.

Eppure, nonostante che io non abbia voluto litigare, nonostante che non sia andato al bancomat da solo di notte in una strada poco frequentata, nonostante che abbia evitato di far sapere quando e dove vado in ferie, nonostante che abbia tentato di evitare di suscitare gli animi irascibili di personaggi poco raccomandabili ecc. ecc. All’improvviso posso essere presente nel raggio d’azione di un certo evento imprevisto: rapina, attentato, rissa. Qual è il mio ruolo? Con chi sono? Chi devo tutelare? La legge dice che intanto devo tutelare me stesso, perciò per prima cosa evito di espormi a dei rischi, inoltre devo tutelare gli altri, perciò, evitando rischi inutili, cerco di avvertire le forze dell’ordine perché intervengano con i dovuti strumenti e preparazione. Per natura si è inoltre portati a tutelare i propri famigliari e amici, perciò, ulteriormente, non mi devo esporre inutilmente e cerco di non esporre loro stessi a dei contesti pericolosi. Qualunque predatore feroce e potente (tigre, leone ecc.) quando è minacciato scappa. Così è anche per chi fa arti marziali. Ma qualunque animale, non solo predatore feroce e potente, se è costretto a combattere per la propria famiglia o per la propria incolumità, utilizza tutte le sue abilità e risorse per annientare il pericolo. Si dice che l’animale più feroce sia “la madre che protegge i suoi figli”, così dobbiamo essere in extrema ratio.

Nonostante la prevenzione, essendo impossibile la fuga, dovendo necessariamente combattere, ecco che entra in gioco, per ultima, l’arte marziale nella sua essenza delle tecniche da adottarsi.

Quante e quali tecniche? “Temo di più il tuo calcio provato 10.000 volte che non i tuoi 10.000 calci provati una volta” (citazione). Le tecniche sono sempre poche, perché devono essere perfettamente automatizzate, essere eseguite istintivamente, in condizioni di vita o di morte, perciò non possono essere complesse e articolate, ma essere invece semplici e immediate. La razionalità con cui sono scelte e allenate spetta all’istruttore, la modalità con cui sono utilizzate in extrema ratio dipende dal nostro cervello primordiale, non dalle elucubrazioni razionali.

Cosa ci serve ancora sapere? In media, in sette secondi di lotta, si finisce a terra, perciò per prima cosa occorre allenare l’equilibrio.

Gichin Funakoshi si allenava con intensità per riuscire a dominare l’equilibrio: a volte, tenendo in mano un grande lenzuolo, si inerpicava sul tetto della sua casa, quando il vento era molto forte, in modo che, tutto il corpo fosse costantemente costretto a reggere i contraccolpi sulla “vela” senza che lui cadesse. Inoltre, Gichin Funakoshi considera fondamentale per chiunque la lotta a terra (tegumi).

Le risorse corporee, anche per l’atleta più allenato, sono bruciate dalla paura, perciò occorre sapere respirare. Le tecniche provate e riprovate in palestra in condizioni di sicurezza e ambiente protetto, dovranno essere riprodotte in contesti decisamente ostili, perciò la “perfezione” del gesto marziale sarà irrimediabilmente “sporcata” dall’enfasi e dalla confusione, dovremo quindi anche confrontarci con delle posizioni corporee asimmetriche ed inusuali.

Il vero allenamento marziale parte quindi dalla psicologia, dallo studio di sé e degli altri, dalla prossemica (studio delle distanze nei rapporti sociali e consapevolezza della distanza da tenersi nel combattimento, che nell’arte marziale giapponese può definirsi “maai” 間 合 い)  dalla prevenzione, riconoscendo a priori i livelli di rischio ed adeguandovisi, dalla gestione del corpo (respiro, equilibrio, postura ecc.) e solo infine dalla tecnica vera e propria. Se però quest’ultima è insegnata, tenendo conto di tutti i fattori precedenti, da sola potrebbe già contenere l’allenamento giusto perché è permeato dell’atteggiamento psico-motorio giusto.

FacebooktwitterpinterestlinkedintumblrFacebooktwitterpinterestlinkedintumblr

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.