Vi sono i genitori che educano a “suon di botte” e quelli che ricorrono a “ragionamenti”, qualcuno lascia fare, qualcun altro controlla di tutto e di più, accompagnando il gesto con parole allarmate: “attento, cadi, ti sporchi, no, fermo, vieni,….”.
I risultati sono variabili, dato che nel mondo moderno per fare qualunque lavoro (addirittura per cambiare una lampadina in casa) a norma di legge si dovrebbe possedere un adeguato titolo di studio, ma per fare il genitore “si nasce imparati”, perciò per ciascuna di queste tecniche, ideate “a muzzo” da genitori non professionisti, o studiate su libri, o viste su internet o ricevute come consiglio da amiche informate, i risultati sono svariati: alcuni bambini sembrano comprendere il messaggio e si comportano “bene”, altri perseverano nel comportamento ritenuto “abnorme”.
Probabilmente però i genitori, sia che siano soddisfatti di aver usato “il metodo giusto” e si vede dal risultato, sia che si lamentino perché “tanto non lo vuol capire”, non prendono in considerazione il fatto naturale e tangibile che i bambini non sono in grado di comprendere né gli scapaccioni, né i ragionamenti, e soprattutto non sono in grado di comprendere i “no”.
Mi spiego. Il cervello ha una sua fase evolutiva, il comportamento di un bambino molto piccolo, da neonato all’età delle scuole elementari, è soprattutto influenzato da stimoli sensoriali, movimento corporeo, è gestito da istinto, intuito, pulsioni, è fondamentalmente orientato a emulare, cioè copiare, gli atteggiamenti dei grandi.
Tra i grandi in primo luogo vi è la madre, poi vi sono il padre, eventuali fratelli e sorelle più grandi, persone presenti spesso nel nucleo famigliare (nonni, amici ecc.), maestre del nido o della materna, e, in misura minore ma importante, chiunque venga in contatto con il bambino.
L’inconscio vive “nel presente” cioè sente, percepisce, si rende conto di una situazione, gradevole o stressante, e reagisce di conseguenza. Il “no” implica un ragionamento: “non devi mangiare” l’inconscio conosce lo stimolo della fame, legato alla parola mangiare, ma le altre parole le ignora, quindi si concentra sul cibo, ignorando il “non devi” (vedi a tal proposito l’articolo: “l’inconscio non conosce il no“).
Inoltre il bambino apprende introiettando il comportamento dei grandi, basta osservare i gesti, gli atteggiamenti, la “tonalità” dell’espressione corporea e dello sguardo di un bambino per riconoscervi immediatamente delle connotazioni simili a quelle dei genitori, ma allo stesso tempo, se lo si osserva dopo che ha frequentato per un po’ di tempo qualche persona specifica (anche solo un amico coetaneo per un paio d’ore) si noterà in lui un modo di comportarsi, una inflessione nel tono di voce, una postura ecc. che hanno dei tratti simili a quelli presenti nell’altro bambino.
I bambini sono “spugne” che assorbono la personalità di coloro con i quali entrano in contatto, poi, come fossero strizzati, gran parte di queste modalità vengono disperse, ma una base resta sempre, colorandone il carattere con dei tratti simili a quelli delle persone che li influenzano di più.
Perciò, il genitore può obbligare il figlio a lavarsi le mani prima di mangiare, ricorrendo alla sculacciata oppure cercando di convincerlo con un trattato sull’infettività dei batteri, ma quello che veramente stimola il comportamento risposta è l’insieme complessivo di atteggiamento, sguardo, presa in considerazione del bambino come “persona”, e quindi è “l’esempio” che il genitore (o chi per esso) dà al figlio su come ci si comporta in una data situazione.
Il genitore che trasmette ordine, ubbidienza, calma, modellerà nel figlio queste modalità operative, se invece ricorrerà alle urla e ad atteggiamenti coercitivi, il bambino sarà orientato a sperimentare questi modi di essere.
Il bambino non gioca a fare il bambino, gioca a fare il grande, picchiando la bambola o l’orsachiotto disubbidienti, ignorandoli perché lui stesso è stato ignorato dai grandi, dando loro spiegazioni tecniche (ovviamente senza alcun senso, non essendo ancora lui in grado di fornirglielo, ma con una modalità educativa, rivolta al giocattolo, che è basata su parole pacate, dimostrazioni ecc.).
C’è necessità di reagire ad un’emergenza? Il bambino volge lo sguardo ai grandi (genitori, fratelli ecc.) e si adegua al loro modo di essere.
Il neonato ha delle sue caratteristiche peculiari, fissate già alla nascita, ma la personalità si costruisce di giorno in giorno, giocando a immedesimarsi negli atteggiamenti altrui, e tanto più l’altra persona incide nell’emozione del bambino, tanto più questi sarà orientato a comportarsi di conseguenza. Non si tratta di quantità, si tratta di qualità. Stare insieme ad un bambino per delle ore, comportandosi distrattamente, non considerandolo intimamente, non rispettando le sue emozioni, non ascoltando i suoi messaggi non verbali (umore, sguardo, tono di voce, postura ecc.), stimola il bambino alla superficialità. Uno solo sguardo di disapprovazione o di incoraggiamento, dato da un “grande carismatico” (può essere anche il fratello maggiore che lo dà alla sorellina più piccola) traccia un solco profondo nella personalità in via di formazione, aiutandola a costruirsi in modo sano e vigoroso.
Vedere un bambino come un bambino è importante, ma come nella ghianda c’è una potenziale quercia secolare alta trenta metri, così dentro un infante c’è una persona, un potenziale grande uomo, una potenziale grande donna e chi gli sta vicino deve esserne consapevole, perché quel futuro si realizzerà proprio grazie questi momenti di crescita insieme. La responsabilità del grande verso il piccolo è immensa, l’ascolto e il comportamento spontaneo modellano, nutrono e guidano il cammino di tutta la vita.
Una pianticella abbandonata a se stessa può crescere storta, per farla crescere dritta le si può mettere un palo inerte di sostegno, che obbliga il tronco ad andare verso una certa direzione, questo genera un tronco “rigido”, che può essere spezzato dalle intemperie, in quanto non riesce ad adattarsi (in natura sopravvive il più adattabile, non il più forte). Oppure si può “invogliare” il tronco a crescere diritto, appoggiandovici sopra le mani di frequente, cioè dando contatto, stimolando la direzione, senza rigidità. Così l’abbraccio sincero, il sentire e percepire il corpo, l’interscambio di emozioni, umori, sentimenti, è fondamentale per l’evoluzione psicomotoria e quindi cerebrale del bambino, ma per farlo con coscienza, occorre anche che in primo luogo il grande abbia autostima, fiducia, coerenza e adeguata conoscenza di se stesso.
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