Anna mette il suo pallone in un paniere ed esce dalla stanza. Mentre è fuori, Sally toglie il pallone dal cesto e lo nasconde nell’armadio.
Quando Anna tornerà nella stanza, dove cercherà il pallone?
Coloro che osservano la scena dall’esterno, risponderebbero: nel paniere, perché non sa che è stato spostato.
Ma un soggetto autistico risponderà: “Lo cercherà nell’armadio, perché il pallone è nell’armadio”.
Egli infatti non riesce a scollegare il suo pensiero, in modo da capire che Sally, non sapendo che il pallone è stato spostato, va a cercarlo dove l’ha lasciato, cioè nel paniere.
Il soggetto autistico ha una circolarità di emozioni, i filtri sensoriali non sono discriminati, perciò in contemporanea egli è cosciente e attento a tutti gli stimoli, senza discernere quello che può essere più utile in quel momento.
Se poi il soggetto autistico non è verbale (parla in modo estremamente limitato), occorre rivolgersi a lui, sapendo che “in entrata” potrà acquisire una sola parola in più di quelle che ha detto “in uscita”. Se in uscita comunica con una parola, in entrata potrà acquisirne solo due, non di più. Se ne ha dette due, potrà recepirne solo tre e così via. Fornirgli ulteriori parole è inutile perché quelle in più le sentirebbe ma, annoiandosi, non le prenderebbe in considerazione.
Al soggetto autistico possiamo spiegare le emozioni, fotografandone il viso quando è contento, facendogli vedere l’immagine, e poi spiegandogli che quell’espressione significa “contento”, perché da solo non è in grado di eseguire questa connessione.
La comprensione per l’autistico può avvenire solo con sistemi scientifici che stabiliscano con una convenzione ciò che per gli altri è intuitivo.
Leave a Comment