13 febbraio 1983 – Cinema Statuto di Torino

Immersa nell’atmosfera ovattata della neve, esattamente trent’anni fa, Torino fu scossa dall’incendio al cinema Statuto, questo avvenimento cambiò per sempre le norme sulla sicurezza dei locali pubblici in Italia.

Di recente ho notato che le nuove generazioni non hanno conoscenza dell’importanza delle conseguenze di questo tragico evento, perciò ne condivido il racconto, detto con parole mie ed estratto dalla memoria personale di quei giorni.

13 febbraio 1983, su Torino è scesa una dolce nevicata; è la domenica prima di San Valentino. Il freddo non invita ad andare alle giostre per Carnevale, meglio il cinema. In via Cibrario 13 trasmettono uno dei migliori film comici del momento: “La capra”. Centinaia di persone, molte coppie, alcune famiglie, tanti amici, decidono di passare il pomeriggio in quel cinema. Fino a quel giorno non si bada al numero di persone presenti in sala, nei film di successo molti stanno in piedi. Ad un certo punto, nel buio, succede qualcosa di strano. Un odore acre di fumo si sparge per tutto il cinema. Dopo il primo momento di smarrimento, si capisce che è scoppiato un incendio, la gente si accalca per uscire. Le porte della platea si aprono e il pubblico esce. Intanto arrivano i vigili del fuoco e domano l’incendio: un banale corto circuito ha bruciato un po’ di sedie e poco altro.

Poi si dirigono verso la galleria, al piano superiore, e, sconcertati, si trovano di fronte a decine di vittime: un ammasso di corpi anneriti, ammucchiati alla rifusa negli angoli, lungo i corridoi, sulle ringhiere. Al piano di sopra le porte di sicurezza sono ancora chiuse dall’esterno per evitare i “portoghesi”, cioè coloro che entrano di nascosto senza pagare il biglietto. La gente ha provato a fuggire, nel buio, nel fumo, ma non si è più orientata (un gruppo ha trovato una porta aperta: il primo vi è entrato, gli altri l’hanno seguito e ….sono morti tutti nei bagni). Davanti alle telecamere della televisione, mentre ormai il sole è tramontato, il commentatore della Rai si accorge che compaiono i corpi delle prime vittime, posti uno accanto all’altro: 4-5-10 e si continua. Alla fine saranno 64. Sulla strada vedo anche quelle due poltroncine che erano davanti alla cassa, la dove ogni tanto mi ero seduto in attesa che uscissero le classi delle scuole andate al cinema a vedere un importante film del momento. Ma oggi, domenica 13 febbraio, nessuno della galleria si è potuto salvare; quasi tutti i torinesi direttamente o indirettamente scoprono di avere un qualche legame con una delle vittime. Uno dei cinema più sicuri e rinomati di Torino è così divenuto il simbolo dell’incuria, dell’inadeguatezza dei sistemi di sicurezza dei locali pubblici. Dal giorno di questa tragedia, per anni molti locali di ritrovo di tutta Italia resteranno chiusi perché non più a norma (eppure fino a pochi giorni prima ospitavano migliaia di utenti).

Una settimana dopo passo davanti allo Statuto, c’è il giornalista della RAI (Gianfranco Bianco) che trasmette il servizio per il TG del Piemonte. Un grande silenzio e una strana calma regna di fronte ai muri anneriti del cinema: inusuale pace e silenzio per Torino centro.

Torino, città magica, quel 13 febbraio, al numero 16, davanti alla fermata del tram n. 13, con 64 vittime (31 uomini, 31 donne, un bambino, una bambina), tutti “numeri cabalistici”, ha dato una svolta definitiva al Far West delle norme sulla sicurezza. Seguiranno i processi, seguirà la morte per sconforto del titolare del cinema, i disagi legali e burocratici per i parenti delle vittime ecc. Ma per tanti anni i cartelloni dell’ultimo film resteranno, anneriti dal fumo e ingialliti dal tempo, come una macchia scura che ricorda silenziosa la tragedia. Poi, un giorno, ecco che l’ex cinema si trasforma in un moderno supermercato ed oggi, dopo trent’anni, la memoria dello sgomento di quel giorno è una cicatrice non più visibile sull’epidermide esterna della città.

fotografia tratta dal quotidiano on line l’Unità

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